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Ludopatia e dipendenza da gioco

La ludopatia è un ampio spettro di disturbi, dal più lieve al più catastrofico.

La ludopatia, disturbo relativo al gioco d’azzardo, è stato recentemente rivalutato e riclassificato nell’ultimo Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il DSM V.

In precedenza era classificato come GAP, Gioco d’Azzardo Patologico, tra i Disturbi del Controllo degli Impulsi, ora viene collocato all’interno della categoria delle Dipendenze, ma in un’apposita sottocategoria, “Disturbo non correlato all’uso di sostanze”.

Si è venuti a questa nuova classificazione sulla base anche delle nuove risultanze delle ricerche neurobiologiche che dimostrato sovrapposizioni, anche nelle rilevazioni di Neuroimaging con le altre dipendenze da sostanze psicotrope o da alcool.

Il disturbo si sostanzia in un’anomala regolazione del sistema di neuro-trasmissione relativo al processo di gratificazione cerebrale nei soggetti con dipendenza da gioco d’azzardo come per le altre sostanze.

Questa disfunzione nella regolazione di neurotrasmettitori come la dopamina, ricopre un ruolo cruciale nei fattori di astinenza e nel Craving (bramosia incontrollabile) che è caratteristico degli stati di dipendenza.

Le strutture cerebrali profonde dell’amigdala, dell’insula e il sistema noradrenergico svolgono una funzione di Guida emozionale; questi sistemi nel nostro cervello sono collegati con il sistema di Reward (ricompensa), le cui strutture più importanti sono il Nucleo Accumbens e l’area Ventrotegmentale, in interazione con i sistemi Dopaminergici.

Si tratta di un funzionamento molto complesso e con un grande impatto sul nostro equilibrio emotivo.

Si definisce quindi il Comportamento da gioco d’azzardo problematico, quello ricorrente e persistente che porta a stress o a un peggioramento significativo della qualità della vita della persona.

Comportamenti e sintomi

La persona affetta da ludopatia può avere comportamenti e sintomatologia evidente se la patologia è diventata di entità grave, ma se la dipendenza non è ancora troppo alta, gli indizi possono essere nascosti con facilità dal giocatore stesso e quindi sottovalutati dalla famiglia o dal partner, sino a che non peggiora in maniera evidente la vita del soggetto con delle ricadute sociali e lavorative.

Le espressioni più patologiche della ludopatia sono quelle del giocatore d’azzardo che rovina se stesso e la sua famiglia, dilapidando tutti i suoi beni e coprendosi di debiti, o del ragazzo che si chiude in casa, lascia la scuola, o il lavoro, non dorme quasi mai, e rimane connesso alla rete senza fare altro della sua vita, in quella patologia diagnosticata per la prima volta in Giappone, e che va sotto il nome di Hikikomori.

Da questi due casi estremi possiamo rilevare molti livelli di alleggerimento della sintomatologia, troviamo le persone affette da shopping compulsivo, l’adulto che compra il “grattino” giornaliero al bar assieme al caffè, l’anziano che punta sui numeri del Lotto da trenta anni, ricordando una sola vincita significativa, che di certo non lo ripaga dell’investimento trentennale, o coloro che giocano a carte con una frequenza piuttosto alta.

E’ importante distinguere la patologia conclamata da comportamenti che sono adattivi, che manifestano cioè un tentativo ben riuscito, attraverso delle attività ludiche, di gestire il proprio bagaglio emotivo tenendo così in equilibrio.

La connotazione emotiva però, che unisce tutti i giocatori dai più incalliti ai più saltuari è l’emozione, anzi talvolta l’eccitazione fisica, che vivono nella sfida, nel tentare la sorte, il DESIDERIO di vincere, di prevalere, di comprare.

Questo desiderio, che li spinge verso il rischio insito nella competizione, è di solito un moto sano, nello sport ad esempio, perché vincere è gratificante, ci eccita.

Il cervello del giocatore compulsivo però, è così tanto gratificato, perché nella ripetizione del solo desiderio, cioè nell’esporsi alla possibilità di vincere, (alla scelta dell’oggetto da comprare), le sue cellule cerebrali vengono inondate di sostanze endogene che procurano esaltazione e un piacere immediato a prescindere dalla vittoria.

E’ la competizione che droga il cervello, infatti dopo una sconfitta, non c’è un allontanamento dallo stimolo deludente, anzi c’è la spasmodica ricerca della vittoria prossima, che comunque non placa il desiderio, ma invece lo innalza.

Dopo aver comprato l’ennesimo paio di scarpe, questo perde quasi immediatamente quelle caratteristiche di unicità per cui lo si era scelto e comprato; e se ne trova sempre un altro diverso o che sembra più bello, facendo ripartire così il processo neuro-emotivo del desiderio.

Tanto più si gioca, o si compra, tanto più aumenta l’aspettativa di vincere, tanto più si desidera giocare, e ricercare nuovamente e sempre più spesso le stessa sensazioni di eccitazione: questo è il meccanismo che porta alla dipendenza e che è in se la
chiave motivazionale superficiale di questi disturbi.

La persona ha necessità, bramosia del gioco, (craving), quando gioca è ipereccitato,
quando sceglie è in estasi, quando non gioca è irritabile, scontroso, le sue relazioni sociali si impermiano sui contenuti del gioco, o si riducono alla frequentazione di altri giocatori, se parliamo poi di adolescenti e di giochi on line, le relazioni diventano prevalentemente virtuali, cioè digitali.

La psicoterapia

Dato l’ampio spettro dei disturbi, e i tanti livelli di gravità, che possiamo incontrare, non esiste una terapia d’elezione, per la ludopatia.

Il trattamento va deciso caso per caso, a seconda del grado di compromissione della vita quotidiana e del tempo di insorgenza.

Di certo la ludopatia, è come ogni altra dipendenza, il sintomo di una profonda sofferenza emotiva a cui non è stato possibile dare uno spazio di condivisione e di elaborazione.

La ludopatia è in generale un modo disfunzionale, ma molto semplice ed efficace per affrontare sentimenti di vuoto, di mancanza, di noia; chi gioca, o compra, si esalta per anestetizzarsi, per non percepire queste emozioni di malessere.

Prevenire quindi vuol dire osservare e comprendere l’espressione di silenzi, tristezza, irritabilità, richieste continue di gratificazioni immediate, difficoltà a tollerare le frustrazioni più semplici.

Questa osservazione risulta estremamente importante negli adolescenti, quelli che non sperimentano la sana competizione o addirittura sono totalmente disabituati a tollerare la sconfitta, o un qualsiasi rifiuto o dilazione al soddisfacimento dei propri desideri, sono quelli più esposti a questa dipendenza.

Nel caso di ragazzi adolescenti, in cui la dipendenza sia evidente e invalidante sono necessari interventi psicoterapeutici che coinvolgano la famiglia.

Per affrontare e risolvere, la sofferenza che si nasconde dietro queste tipologie di disturbo, è indispensabile per prima cosa, riconoscersi come dipendenti non dal gioco in stesso, ma dall’eccitazione e dall’attivazione neurobiologica che ne deriva.

Soltanto in seguito sarà possibile far emergere e elaborare quel dolore da cui la persona si allontana giocando o comprando freneticamente.

L’unica via d’uscita duratura, e esente da ricadute anche nei ragazzi, è una psicoterapia ad orientamento analitico, che si occupi non soltanto della superficie evidente e manifesta nel comportamento “gioco” ma del significato personale che ogni giocatore nasconde sotto questo sintomo.

Senza l’elaborazione del dolore sottostante non sarà possibile per il giocatore smettere di “autocurarsi giocando”, cioè inondando il proprio cervello di sostanze che allevino la sua pena.

 

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